Forse Putin non ha tutti i torti. E l’Europa disunita invece sì.

Lucia Goracci in diretta dalla Crimea per Rainews24

Lucia Goracci in diretta dalla Crimea per Rainews24

Quando Lucia Goracci, bravissima giornalista da poco inviata dalla Rai in Crimea, si è collegata in diretta con i suoi colleghi a Roma, nei loro volti si leggeva un po’ di smarrimento. Perché alla domanda “Ma come stanno reagendo gli abitanti della Crimea?” la Goracci ha risposto sostanzialmente “Sono tranquilli e non vedono l’ora che arrivino i russi come liberatori”. Questo forse dovrebbe e potrebbe insegnarci che la realtà in quel grande paese che è l’Ucraina è un po’ più complicata rispetto alla banale favoletta piazza buona vs. Putin cattivo che tanti, più o meno ingenuamente, cercano di farci credere.

Qualche testa particolarmente serie – in primis “Limes” – ci racconta l’antefatto di quello che sta accadendo in questi giorni partendo da diversi anni fa. E fa bene, ma io, non essendone capace, vi rimando all’autorevolezza di quella rivista. Soprattutto per quanto riguarda le idee del presidente russo sull’Ucraina, espresse già nel 2008.

Qui invece vorrei partire da qualche considerazione più alla portata. La prima, è oggettiva, geografica: l’Ucraina è un paese storicamente ed etnicamente composito. Da una parte il suo Ovest, che fu prima polacco e lituano, poi asburgico, poi nuovamente polacco e che vide i russi solo nel 1945. Dall’altra, all’opposto, regioni abitate principalmente da russi, dove questa è la lingua ed il legame con Mosca è sempre, senza interruzioni, l’unico riferimento economico sociale e culturale. In mezzo, attorno a Kiev, una metropoli ed una regione oggettivamente miste, dove è sì forte il legame storico ed economico con la Russia, ma la popolazione è in maggioranza d’etnia ucraina. Ai lati, giù in fondo, c’è la Crimea, abitata da russi, sede della marina militare russa, “regalata” a Kiev da un capriccio di Krusciov, quando questo passaggio era sempre dentro all’URSS e quindi poco più che cerimoniale.

Su questa situazione di tipo balcanico, la Russia (a torto o a ragione) ha da tempo fatto sapere come la pensa. Senza contare che il confine ucraino, in alcuni punti, arriva a meno di 500 km in linea d’aria dalla Piazza Rossa. Che, per un Paese così enorme come la Russia, è come dire che gli è in braccio. Per cui la posizione russa in tutti questi anni è stata: l’Ucraina faccia i suoi commerci con chi vuole, ma rimanendo amica in modo privilegiato di Mosca. Un approccio possessivo, se vogliamo, ma chiaro da almeno un decennio.

A guastare le feste ci ha pensato l’allegra Europa a guida lituana. Il 28-29 novembre scorso a Vilnius, forse memori dei lunghi secoli di dominazione polacco-lituana su queste terre, l’UE propone l’ormai famoso “accordo di associazione” non solo all’Ucraina, ma anche a Moldavia, Georgia ed Armenia – tutti vicini della Russia – nell’ambito di un altisonante “terzo summit sulla partnership orientale”. Ed è bene ricordare quale sia stata la strada fatta dai Paesi che prima di questi erano stati inseriti nella “partnership orientale”: prima associazione economica con l’UE, poi ingresso a pieno titolo nella stessa e nella NATO. Ovvero un’alleanza economica (l’UE) che sottrae spazio commerciale alla Russia; ed un’alleanza militare (la NATO) che vede ancora nella Russia un nemico.

È mancata quindi, ancora una volta, un’affermazione seria di unità europea. Lasciando che, sulla spinta di alcuni paesi (Polonia e Stati baltici) che per legittime ragioni storiche individuano esplicitamente in Mosca un nemico, l’Europa sta da decenni faticando ad individuare quali siano gli interessi suoi, ma intanto lavora lei per quelli di Washington. Perché tutto si potrà pensare dei metodi antidemocratici di Vladimir Putin, ma è difficile pensare che la Russia possa tacere di fronte alla concreta prospettiva che Paese come l’Ucraina – con metà del territorio che parla russo ed a 500 km dalla Piazza Rossa – diventi un satellite militare degli Stati Uniti mediante la NATO. Il metodo di Putin è sguaiato, fondato su una forza militare che probabilmente porterà meno risultati alla Russia di quanti non gliene potrebbe portare una politica d’influenza basata anche su metodi più soft, ma la responsabilità europea c’è ed è enorme.

Enorme in primo luogo perché qualche Stato europeo ha soffiato sul fuoco di un Paese balcanizzato, cercando di usare per i propri scopi politici (ostilità a Mosca) la piazza in rivolta di Kiev (“EuroMaidan”). Con il risultato magnifico di un’Ucraina che si avvia alla spaccatura – di diritto o di fatto non lo sappiamo ancora – come le folle festanti in Crimea che accolgono i russi dimostrano. Se la politica estera europea fosse unica, questo affare sarebbe probabilmente stato gestito in modo meno improvvisato ed astioso. Senza lacerare l’Ucraina, quindi.

Enorme in secondo luogo l’Europa disunita continua a ragionare secondo la divisione di Yalta per zone d’influenza. Si continua cioè fare il gioco degli Stati Uniti, credendo che coincida con il nostro: si continua a vivere l’Europa occidentale come un nemico della Russia, votato a sottrarle territori d’influenza. È un’assurdità completa, ma è ciò che il magnifico vertice di Vilnius (ultimo anello di una lunga catena) ha cercato di fare. (Europa occidentale + Stati Uniti) vs. Russia è una formula che insanguina l’Europa anziché pacificarla. Sarà un caso, ma Yalta è proprio in Crimea: tutti i nodi, prima o poi, vengono al pettine!

Enorme in terzo luogo perché manca una visione strategica degli interessi europei, la quale – fra le tante cose – imporrebbe una politica di collaborazione e buon vicinato con la Russia, anziché il tentativo di espandersi ai suoi danni. Imporrebbe una pianificazione e gestione uniche della politica estera europea. Imporrebbe un rapporto di stretta e forte alleanza con gli Stati Uniti, ma non più dal ruolo di tanti piccoli staterelli quasi vassalli, bensì come continente unito politicamente ed anche militarmente. Tutto ciò invece non succede né accenna ad avvicinarsi.

Dove risiedano difficoltà e nemici di questa prospettiva è la domanda che l’Europa, se vuole crescere, dovrebbe cominciare a porsi. Sicuramente non al Cremlino, però, per il quale un’UE forte con cui condividere un bilanciamento fra potenze certamente non dispiacerebbe.